Giovani e non più giovani: il lavoro, la crisi, l’indipendenza e le possibilità

Per identità si intende quella struttura della personalità che rimane stabile nel tempo e si mantiene constante nel corso dell’esistenza. Si costituisce a partire da alcuni fattori genetici, ma è poi il fattore socio-ambientale che determina il suo sviluppo: i genitori, la famiglia di origine, il gruppo dei pari, la realtà socio-economica nella quale si cresce…

Oggi in un mondo dominato dalla precarietà, in cui non si hanno più riferimenti sicuri e stabili, come è possibile costituire un’identità personale, che permetta di avere un proprio grado di resilienza tale da affrontare le difficoltà dell’esistenza?

Come direbbe Baumann viviamo in una società liquida, dove si richiede sempre maggiore flessibilità, per adattarsi alla realtà che ci circonda, quindi anche la nostra identità deve essere malleabile, ma ciò va in contrasto con la stessa definizione di identità personale.

La precarietà sociale porta ad una precarietà personale, alla mancanza della possibilità di strutturazione dell’identità stabile e sicura su cui fare riferimento. Come il bambino deve aumentare la propria capacità di autonomia, superando la fase simbiotica con la madre, così l’individuo deve poter avere il proprio spazio di indipendenza dalla famiglia, ma oggi ad esempio l’indipendenza economica dai genitori è sempre più lontana.

I modelli di riferimento sono necessari per la strutturazione del proprio modo di essere nel mondo, ma, nell’arco di una generazione, sono cambiati completamente i riferimenti sul proprio ruolo sociale. Come sta già avvenendo, magari si tornerà a vecchi modelli sociali, come la famiglia allargata nella stessa casa.

Vengono in mente alcuni esempi paradigmatici.

Il cinquantenne operaio che perde il lavoro: ha strutturato la propria identità sulla propria capacità di lavorare, ma ora viene considerato inutile, come si riuscirà a relazionare con la propria famiglia?

Il quarantenne anni, ormai non più così giovane, che perde il lavoro e deve ricostituirsi una propria identità anche lavorativa, su basi completamente nuove e con la difficoltà a riuscire ad essere pronto ai cambiamenti.

I cosiddetti giovani tra i 15 e i 16 anni, già più adeguati al periodo di crisi attuale, perché hanno sempre e solo visto la precarietà, che si domandano perché studiare. Lo studio è un’esperienza fondamentale per lo strutturarsi della propria identità e per avere gli strumenti necessari a poter leggere la realtà in maniera critica.

Solitamente a livello psicologico per crisi si intende un periodo transitorio della propria vita, che spesso produce sofferenza, determinato da cambiamenti importanti, in cui si ha la possibilità di ricostruirsi un’identità diversa dalla solita.

Ha ancora senso oggi questa definizione in un periodo in cui la crisi è ormai perenne?

Oggi in questa società della crisi, nelle persone con una fragilità strutturale, è più facile che emergano delle problematiche psicologiche latenti, che possono essere superate più facilmente con un aiuto di natura psicologica.

Ma non è pensabile che la panacea di tutti i mali e i problemi del mondo attuale siano risolvibili andando da uno psicologo, va quindi cercato un proprio equilibrio tra le personali necessità di stabilità e una società che metta a repentaglio qualsiasi certezza in nome di una fittizia necessità economica.

Una delle poche possibilità per sopravvivere, che abbiamo oggi, è di costituirsi una propria identità precaria in un mondo instabile.

Podcast puntata Martedì 19/11/2013 su Radio Flash

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