La vita è adesso! Nuove forme di malessere nella società contemporanea

La società di oggi è stata definita “liquida” dal sociologo Bauman, in quanto i legami sociali, tra gli individui sembrano divenire sempre più inconsistenti, più fragili. Viviamo, infatti, in una dimensione di continua incertezza sia dal punto di vista affettivo che lavorativo: mentre per le generazioni precedenti c’erano certezze stabili (i nostri padri, i nostri nonni, avevano un lavoro e sapevano che sarebbe stato quello per tutta la vita), oggi il lavoro “sicuro” non esiste più. In tali condizioni si evidenzia anche un’assenza di punti di riferimento, e la società si caratterizza dall’individualismo: i sentimenti di appartenenza e di condivisione cedono facilmente il posto alla competitività. Inoltre, la situazione di precariato oggi amplifica il rimuginio rispetto ad un ambiente poco sicuro e amplifica la diffidenza dei contesti relazionali.

A fronte di questo panorama sociale sono sempre più evidenti nuove forme di malessere: tra queste l’ansia, la depressione e le nuove dipendenze.

L’ansia: la paura che crea il mostro insuperabile

Nella società di oggi sembrano aumentate notevolmente le patologie di tipo ansioso.

Da alcune statistiche è emerso quanto segue:

  • Le donne hanno una probabilità tripla di sviluppare un disturbo d’ansia rispetto agli uomini. Sono inoltre più a rischio: giovani; non sposati; disoccupati; casalinghe; residenti in città. (ESEMeD European Study on the Epidemiology of Mental Disorder)
  • Circa un terzo della popolazione ha avuto o avrà nel corso della sua vita un disturbo psichico e i più diffusi sono i disturbi d’ansia e quelli di tipo depressivo. (Kaplan e colleghi, 1997)
  • Oltre un soggetto su cinque può andare incontro ad un qualche disturbo d’ansia nell’arco della vita. E’ stato stimato che in questi casi si può determinare assenza o (presenza insufficiente) per il 10-40%  delle giornate lavorative mensili. (Policlinico Gemelli di Roma)
  • La crisi economica italiana è una nuova fonte di stress e ansia: tra le persone si sono riscontrati sentimenti come rabbia, paura, senso di colpa. La volontà di miglioramento e di impegno che sarebbe necessaria per trovare soluzioni e alternative risulta proprio annullata dalla paura, dall’ansia e da sentimenti depressivi. (Eurodap, Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico, 2012)

Ma che cos’è l’ansia? L’ansia è uno stato psichico caratterizzato da una sensazione di intensa preoccupazione o paura, spesso infondata, relativa a uno stimolo ambientale specifico, associato ad una mancata risposta di adattamento da parte dell’organismo in una determinata situazione.

I sintomi principali sono: paura, tensione, malessere, ritmo cardiaco accelerato, respirazione accelerata, palpitazioni, tremore, sudorazione, secchezza delle fauci, dolore toracico, mal di testa, mal di stomaco.

L’ansia tuttavia ha una doppia valenza, infatti può essere sia funzionale sia disfunzionale.

L’ansia funzionale è un’emozione naturale e universale; è generata da un meccanismo psicologico di risposta allo stress, il quale svolge la funzione di anticipare la percezione di un eventuale pericolo prima ancora che quest’ultimo sia chiaramente sopraggiunto, mettendo in moto specifiche risposte fisiologiche che spingono da un lato all’esplorazione per identificare il pericolo ed affrontarlo nella maniera più adeguata e, dall’altro, all’evitamento e alla eventuale fuga. Ha la funzione di proteggerci dalle minacce esterne preparandoci all’azione e contemporaneamente motivandoci all’interazione con il mondo circostante. Quest’ansia è costruttiva, ovvero risulta funzionale alla nostra sopravvivenza. Ci rende capaci di far fronte ai problemi della vita e di adoperarci per migliorare il nostro adattamento all’ambiente.

L’ansia è invece disfunzionale quando non siamo capaci di superare del tutto una situazione di pericolo, oppure allo stato d’allarme e attivazione non corrisponde un pericolo reale da fronteggiare e risolvere; in tal caso l’ansia si trasforma da risposta del tutto naturale e adattiva, a sproporzionata o irrealistica preoccupazione. L’ansia perde così la sua funzione adattiva tesa a favorire il rapporto con l’ambiente, provocando al contrario disadattamento e perdita di contatto con l’ambiente stesso.

I disturbi d’ansia così diffusi in questo periodo storico si possono evitare? Sono la patologia del nostro tempo e quindi dobbiamo conviverci o possibile combatterli?

Sicuramente è molto importante fare prevenzione al fine di poter conoscere meglio tali sofferenze ed intervenire affinché non peggiorino; per questo si ritiene molto utile fare informazione al fine di aiutare a riconoscere il fenomeno, i fattori di rischio, a differenziare tra ansia e stress, e imparare ad ascoltare le nostre sensazioni, emozioni e pensieri che sono il principale strumento che abbiamo a disposizione per prenderci cura di noi stessi.

Spesso le problematiche ansiose sono collegate ad un senso di “solitudine”: possono soffrirne anche persone con rapporti sociali, una vita di relazione, ma che hanno avuto una storia familiare in cui le capacità di ascolto, comprensione ed empatia non sono state adeguate, per cui questa persona si porterà dietro tale vissuto di solitudine e avrà difficoltà nel costruire relazioni “nutrienti”. Il senso di solitudine non si risolve soltanto stando “vicini”, si può stare vicini, senza conoscersi, si può stare in mezzo a tante persone, ma questo non significa necessariamente che ci sia vicinanza emotiva.

Come intervenire?

Si può ricorrere ai farmaci, per curare uno stato ansioso, se la situazione è momentaneamente così “allarmata” che l’ansia e le preoccupazioni risultano invalidanti nella vita quotidiana.

Sarebbe poi utile affiancare una psicoterapia in cui il paziente e il terapeuta costruiscono una relazione stabile e sicura e collaborano per trovare delle strategie funzionali ad affrontare il disagio.

La depressione: il “male di vivere”

La depressione è una delle malattie più persistenti nella nostra società occidentale. E’ davvero il male del secolo, l’Oms stima che sono circa 121 milioni le persone nel mondo che convivono con la depressione. Sempre secondo l’Oms, la depressione nel 2020 sarà la seconda causa di invalidità al mondo, appena dopo le malattie cardiovascolari.

Le ragioni dell’incremento dei casi non sono chiare, ma certamente un ruolo lo gioca il contesto di vita nel quale ci troviamo. Il modello di società in cui viviamo ha subito profonde trasformazioni, si sono generalmente persi i legami di appartenenza gruppale, di comunità. Anche i legami familiari e le relazioni di vicinato o amicali sono molto liquide, poco contenitive rispetto a persone che manifestano disagi esistenziali che possono portare alla malattia e alla furia distruttrice.

Si tratta di un disturbo molto diffuso, infatti ne soffre circa il 15% della popolazione. Può colpire chiunque, a qualunque età, ma pare sia più frequente tra i 25 e i 45 anni d’età.

La sintomatologia è caratterizzata da umore depresso per la maggior parte della giornata, per almeno 15 giorni di seguito, e anedonia, ossia marcata diminuzione o perdita di interesse o piacere per le attività che prima interessavano e creavano benessere.

Si può presentare stanchezza, affaticamento, mancanza di energie e demotivazione.

Oltre a questi sintomi, la persona depressa può soffrire di un aumento o una diminuzione significative dell’appetito e quindi del peso corporeo, e può presentare disturbi del sonno (dorme di più o di meno o si sveglia spesso durante la notte o non riesce ad addormentarsi o si sveglia precocemente). Può inoltre avere difficoltà a concentrarsi, mantenere l’attenzione e prendere decisioni.

In genere si assiste a una tendenza all’isolamento, alla solitudine, alla sedentarietà, e a una scarsa cura di sé, con una diminuzione dei rapporti sociali e affettivi.

Prevalgono sentimenti di fallimento, disperazione, sconforto, rassegnazione. Ci si sente inutili, impotenti o persino colpevoli. Spesso sono presenti pensieri di morte o di suicidio, che possono andare da un vago senso di morte e desiderio di morire, fino all’intenzione di farla finita con una vera e propria pianificazione e la messa in atto di tentativi di suicidio.

Come intervenire?

Poiché questo disturbo ha un decorso lento, insidioso e tendente ad aggravarsi nel tempo se non trattato tempestivamente, è importante rivolgersi a uno specialista che possa valutare la situazione e la terapia più idonea; nello specifico uno psichiatra, per una terapia farmacologica, e/o uno psicoterapeuta, per comprendere le cause della sofferenza e trovare delle strategie funzionali per affrontarla.

Dipendenze patologiche

Anche le dipendenze patologiche sono sempre più il frutto della contemporaneità. I rapidi cambiamenti della società e lo sviluppo delle tecnologie dei new media hanno condotto ad identificare un numeroso e variegato gruppo di dipendenze sociali o legali, classificabili come “nuove dipendenze”.

Al di là dell’abuso di sostanze stupefacenti, gli studi confermano che si stanno affacciando più blande forme di dipendenza, che caratterizzano sempre di più la nostra società come una “società drogata“. Tra queste pensiamo alla dipendenza da cellulare, da internet, dai social network, da videogiochi e slot machine, da gioco d’azzardo, da sesso virtuale…

Le nuove dipendenze comprendono tutte quelle nuove forme di dipendenza in cui non è implicato l’uso di alcuna sostanza chimica.

Negli ultimi anni si è assistito ad un’enorme diffusione di queste dipendenze comportamentali, tanto da suscitare l’interesse della letteratura scientifica e richiedere la disponibilità di metodi di cura e terapia efficaci.

Alonso-Fernandez (1999, S.I.I.Pa.C, 2004) sostiene che le nuove forme di dipendenza sono agevolate dall’innovazione tecnologica e dalla nuova civiltà che, da una parte genera stress, vuoto e noia, e dall’altra stimola la tendenza all’immediata gratificazione fornendo sempre gli strumenti appropriati (questo attraverso la creazione di bisogni e dei mezzi adatti per soddisfarli).

Con il termine inglese “addiction” s’intende definire una condizione generale in cui la dipendenza psicologica spinge alla ricerca dell’oggetto, senza il quale l’esistenza perde il suo significato primario. Nel caso delle nuove dipendenze si può parlare dello sviluppo dell’addiction senza “dipendenza” (intendendo dipendenza fisica e chimica, condizione in cui l’organismo necessita di una determinata sostanza per funzionare). Si tratta perciò, in questo caso, del bisogno imprescindibile di mettere in atto dei comportamenti significativi, in assenza di una dipendenza fisica vera e propria.

Il termine inglese “addiction” deriva dal latino “addictus” che fa riferimento ad una condotta attraverso cui un individuo viene reso schiavo. Nel caso delle nuove dipendenze questa “schiavitù” rappresenta per l’individuo una illusoria modalità per bypassare la sofferenza psichica e la consapevolezza dei propri stati interiori.

Il nuovo fenomeno giapponese degli “Hikikomori” è l’emblema dell’uso distorto di internet: da utile strumento di comunicazione, di lavoro, svago e socializzazione, in creatore di un mondo parallelo e alternativo a quello reale, che porta verso la chiusura nei confronti del mondo esterno, amplificando i disagi relazionali e personali del soggetto.

Hikikomori in giapponese significa letteralmente ‹‹stare in disparte, isolarsi››; con questo termine i giapponesi indicano coloro che si ritirano dalla vita sociale e in particolare, il Ministero della Salute giapponese definisce Hikikomori coloro che si rifiutano di lasciare le proprie abitazioni per un periodo che supera i sei mesi.

In questo caso, la dipendenza provoca uno spostamento energetico verso l’oggetto della dipendenza stessa (investito di particolari significati) e un conseguente ritrarsi (disinvestimento energetico) dalla vita sociale e relazionale.

Le dipendenze variano storicamente anche in relazione ai cambiamenti sociali, culturali e tecnologici e hanno caratteristiche diverse da quelle tradizionali del secolo scorso (uso di droghe, alcol ecc.). Tuttavia, possiamo riscontrare alcuni elementi comuni tra le dipendenze comportamentali e quelle determinate dall’uso di sostanze:

  • Impossibilità a resistere all’impulso di mettere in atto il comportamento (compulsività).
  • Sensazione crescente di tensione che precede l’inizio del comportamento (craving).
  • Piacere o sollievo durante la messa in atto del comportamento.
  • Bisogno sempre maggiore di ricorrere al comportamento (assuefazione).
  • Persistenza del comportamento nonostante la sua associazione con conseguenze negative.

Conclusioni

L’uomo nella sua interazione bio-psico-sociale si ammala in una società malata alla sua base. Non potrebbe essere altrimenti: la continua insicurezza, sociale ed economica, nel quale siamo costretti a vivere, gli stili di vita sempre più stressanti ed esigenti, nella ricerca di una perfezione estetica e moraleggiante, porta molti individui a sviluppare sempre maggiori forme di malessere.

Cosa possiamo fare? Noi siamo convinti che una soluzione efficace dipenda dall’abbandono dello schema dell’individualismo e dalla creazione di buone relazioni.

In effetti, nella nostra professione di psicologi e psicoterapeuti, questo è proprio l’elemento fondante: la psicoterapia è costruzione di una relazione: è uno spazio sicuro in cui il paziente può sperimentare capacità che non pensava di avere. Capacità che poi può utilizzare anche al di fuori del setting terapeutico, per sentirsi più sicuro, per costruire relazioni e per costruirsi uno spazio nel mondo dove sentire la vicinanza con gli altri e dove sentirsi gratificato, e trovare ciò di cui ha bisogno.

Se senti il bisogno di un supporto psicologico non esitare a contattarmi: aspettare non è mai una buona idea. Compila il form e fissiamo un appuntamento
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