I nuovi cavalieri della tavola rotonda: riflessioni sul mito del calcio

Il mito è qualcosa che ci è sempre servito per avere degli ideali da raggiungere, dei modelli a cui ispirarci, così un tempo i modelli erano i paladini e i cavalieri, oggi sono i calciatori.

Un cavaliere è difensore delle regole, paladino di lealtà e fedeltà, agile e forte vincitore in battaglia, sempre pronto a proteggere i valori per cui vale la pena combattere.”

Quanto siamo distanti da quest’immagine oggi? Una volta c’erano i calciatori bandiera di una squadra, oggi i calciatori sono paladini dei propri interessi e non sono un gran modello di virtù, ad esempio Balotelli o Cassano…

Il calcio è un rituale moderno, è uno sport competitivo, si serve dell’aggressività come strumento per combattere e vincere, così l‘individuo può sfogare la propria rabbia e frustrazione in una maniera socialmente accettata. Si lavora tutta la settimana, poi non ci si pensa e ci si mette davanti alla TV a guardarsi la partita. Non si protesta contro ciò che non va nel mondo, ma si incanala e disperdono le energie. In questo senso il calcio è un mezzo di controllo delle frustrazioni della popolazione. C’è una dicotomia tra istinto e istanze sociali reprimenti.

Questo sport che riesce a coinvolgere masse di persone di ogni ceto sociale, ad accendere discussioni e a fare, letteralmente, soffrire e delirare il pubblico. Come mai? Da dove deriva il suo fascino?

Il calcio è un gioco, le caratteristiche del calcio sono essenzialmente due: primo, è uno sport di squadra, cioè di gruppo; secondo, è uno sport che si serve di una palla.

È un gioco anche intellettuale, perché non si accontenta della forza atletica, ma implica un primato della ragione e della creatività. Richiede un intervento del pensiero e soprattutto la capacità di interagire con altre persone e di regolare il proprio comportamento su quello dei compagni di squadra, degli avversari e del pubblico.

Richiede notevoli capacità di adattamento alle esigenze della squadra, il collettivo, poiché le varie abilità tecniche che costituiscono la classe, cioè velocità, destrezza di movimenti, capacità di controllo del pallone, i piedi buoni, doti acrobatiche e coraggio devono essere sottomesse alle esigenze del gruppo, così la responsabilità del risultato viene sempre condivisa.

Il calcio è un gioco sempre uguale e sempre diverso: è sempre uguale nelle sue strutture, nelle sue regole, ma è sempre diverso nelle sue dinamiche della partita. Offre la certezza delle norme, ma l’incertezza del risultato. Essendo prevedibile, quindi rassicurante, ma anche imprevedibile, quindi carico di suspense, il calcio solletica due esigenze psicologiche fondamentali: il bisogno di sicurezza, dato dalla costanza delle regole, e il bisogno di cambiamento, dato dall’evoluzione della partita.

Oggi il calcio è sempre maggiormente entertainement: non si va più allo stadio, ma si guarda il tutto in tv. I calciatori sono ormai dei divi, inarrivabili, che vivono in un mondo loro. C’è il mito che se sei bravo andrai avanti e avrai il tuo riscatto sociale, che non puoi avere in nessun altro modo.

Mentre una volta le partite erano di Domenica, separando il giorno del calcio dagli altri giorni feriali, ora si gioca tutti i giorni. Sempre maggiore è la distanza tra la realtà quotidiana e il calcio giocato. Diventa tutto sempre più virtuale.

Nello stadio reale le curve sono sempre più estremiste e lo stadio non è un posto dove portare i propri bambini a vedere uno spettacolo, perché è spesso un luogo di violenza, come dimostrano settimanalmente sempre più episodi.

Avvengono quei fenomeni che la psicologia sociale chiama di deresponsabilizzazione, in cui l’individuo nel gruppo attua dei comportamenti che da solo non farebbe mai: l’avversario diventa qualcosa che non è solo più un rivale, ma il nemico, l’oggetto su cui poter sfogare tutta la propria rabbia.

Il calcio è un mezzo che genera appartenenza ad un gruppo, se non è esagerato il discorso agonistico, i bambini imparano a stare in un gruppo, a coordinare i movimenti del proprio corpo. Nei quartieri periferici, per i cosiddetti “ragazzi ribelli”, è un mezzo per contenere i comportamenti aggressivi e incanalare la propria rabbia in una maniera giocosa e divertente.

Il calcio è un fenomeno che unisce anche al di là delle separazioni: ad esempio c’è stata una partita tra Israele e Palestina.

Tutti possono giocare a calcio, basta avere una palla, anche di pezza, ed uno spazio dove poter correre per inseguirla, allora si dovrebbe ritrovare il vero spirito del calcio, che è rimane sempre un gran bel gioco, una vera e propria forma di arte, al di là di tutti gli eccessi attuali.


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