Quando il cervello invecchia: piccolo kit di sopravvivenza per i familiari

In Italia negli ultimi 100 anni la percentuale di ultra sessantacinquenni si è quasi triplicata (da 6.1% a 17.7%) e nell’arco di 50 anni arriverà presumibilmente a rappresentare circa il 34% della popolazione totale, una percentuale quasi doppia rispetto a quella attuale.

Con il progressivo allungamento della vita media stanno assumendo sempre maggiore importanza le problematiche correlate all’invecchiamento e, tra queste, i disturbi intellettivi e del comportamento (le demenze).

Le modificazioni dovute all’invecchiamento cerebrale normale sono a carico di:

  • funzioni motorie (ci si muove con maggiore difficoltà)
  • ritmo sonno-veglia (si dorme di meno, a volte si invertono)
  • funzioni psico-affettive (irrigidimento del carattere, calo della motivazione e dell’autoefficacia, maggior presenza di contenuti affettivi negativi)
  • funzioni cognitive (percezione, attenzione, memoria)

La demenza è una malattia del cervello che comporta la compromissione di diverse facoltà mentali (memoria, ragionamento, linguaggio) tale da pregiudicare la possibilità di vita autonoma.

Colpisce circa il 10% delle persone oltre i 65 anni di età e il 20% delle persone oltre gli 80 anni.

Le demenze rappresentano la quarta causa di morte negli ultra sessantacinquenni dei paesi occidentali, nonché una delle cause di disabilità più importanti nella popolazione anziana.

Erroneamente si tende ad associare il termine demenza a quello di Alzheimer, ma in realtà la malattia di Alzheimer è solo una delle tante forme di demenza conosciute. Ci sono molte altre forme di demenza, tra cui: la demenza vascolare ischemica, la demenza fronto-temporale, la demenza con corpi di Lewy, il morbo di Parkinson, la Corea di Huntington, la demenza da SLA, la demenza da HIV… 

Tuttavia, tra tutte le demenze esistenti, l’Alzheimer è in assoluto la più frequente, in effetti il 60% dei pazienti colpiti da una demenza sono affetti dalla malattia di Alzheimer, quindi da ora in avanti ci soffermeremo su di essa.

“La malattia di Alzheimer è una demenza ad esordio insidioso che va sospettata ogni qualvolta un soggetto al di sopra dei 45 anni di età presenta dei disturbi di memoria lentamente ingravescenti che arrivano ad interferire con le attività della vita quotidiana, a cui si aggiungono in breve tempo altri disordini di natura cognitiva e/o comportamentale”.

 I sintomi che caratterizzano questa malattia comprendono disturbi di vario tipo: dai disturbi della memoria (problemi a ricordare avvenimenti o fatti recenti) ai disturbi di orientamento (disorientamento temporale, spaziale e relativo a se stessi) ai disturbi cognitivi e del linguaggio (difficoltà di denominazione, impoverimento del discorso, difficoltà nella scrittura e nel calcolo, incapacità a risolvere problemi) ai disturbi neuro-motori (alterazione del tono muscolare e dei movimenti, tremore, rallentamento dell’andatura).

A questi sintomi spesso si associano altre due categorie di disturbi, che sono quelli che preoccupano e affaticano maggiormente i caregiver: i disturbi dell’affettività (per esempio depressione, indifferenza affettiva, euforia inadeguata, deliri) e i disturbi del comportamento (per esempio irrequietezza, aggressività fisica e verbale, manierismi e movimenti ripetitivi, vagabondaggio, comportamenti inappropriati).

Il decorso della malattia in genere dura una decina di anni, ed è scandito da diverse fasi successive: inizialmente, quando la malattia è ancora in fase lieve-moderata, compaiono unicamente i sintomi cognitivi (quindi principalmente i disturbi della memoria e del linguaggio); con l’aggravarsi della malattia, dopo circa un paio di anni, subentrano la perdita dell’autosufficienza e i disturbi del comportamento, ed è in genere in questa fase che viene formulata la diagnosi di Alzheimer; infine nel passaggio dalla fase intermedia alla fase grave spesso si ricorre al ricovero in strutture sanitarie, dopodiché si arriva al decesso del paziente.

La cosa interessante da notare però è che la malattia di Alzheimer inizia già anni prima rispetto alla comparsa dei primi sintomi, quindi sarebbe importante intervenire in questa fase per far sì che la malattia non si sviluppi o almeno rallenti la sua progressione.

Una delle domande che verrà in mente a tutti coloro che hanno un genitore affetto da Alzheimer immagino sarà: “Quale rischio ho di sviluppare l’Alzheimer?

Nella maggior parte dei casi (90-95%) la malattia di Alzheimer si presenta come “caso isolato” all’interno di una famiglia: si parla di Alzheimer di tipo sporadico, non è causato da un’alterazione genetica e quindi non è direttamente ereditabile.

In circa il 5% dei casi, invece, si può verificare che in una famiglia più persone siano affette da malattia di Alzheimer: si parla in questi casi di demenza di tipo familiare. Tali forme familiari, che si trasmettono quindi su base ereditaria, sono caratterizzate da una più precoce età d’insorgenza (prima dei 65 anni) e da una più rapida evoluzione della malattia rispetto alle forme sporadiche.

Si tratta, in generale, di forme trasmesse con modalità autosomica dominante, per cui il 50% dei figli della persona portatrice della mutazione ha la possibilità di ereditarla.

E ora vediamo cosa è possibile fare per il trattamento di una persona affetta da demenza.

L’anziano con deterioramento cognitivo è un paziente complesso che necessita di una metodologia di intervento che si concentri sul malato e non sulla malattia.

Per questo si parla di strategia di intervento SMALL GAINS (= piccoli guadagni) che si fonda sulla possibilità di correggere tutto ciò che è possibile correggere al fine di migliorare la qualità della vita del paziente e dei caregivers.

Ad oggi non esiste un farmaco sicuro ed efficace contro la demenza di Alzheimer, quindi è fondamentale associare una terapia riabilitativa!

Gli interventi riabilitativi sono strategie finalizzate a ridurre l’impatto della malattia sul livello di autosufficienza, permettono di mantenere il più elevato livello di autonomia e di qualità della vita compatibile con una determinata condizione clinica.

Dal momento che le demenze sono malattie croniche e irreversibili, l’obiettivo non è la guarigione ma è quello di rallentare la progressione dei deficit cognitivi e funzionali, mantenendo stabili le risorse residue.

Gli obiettivi della stimolazione cognitiva nello specifico sono:

  • sostenere l’orientamento spazio-temporale del malato rispetto a sé e al proprio ambiente di vita;
  • stimolare la funzione linguistica;
  • favorire l’attenzione e la concentrazione;
  • attivare le capacità e le autonomie;
  • mantenere gli interessi del passato;
  • migliorare le capacità relazionali e comunicative;
  • aumentare il livello di autostima.

Per quanto riguarda i caregiver, ossia le persone, in genere familiari, che si prendono cura della persona malata, innanzitutto dobbiamo definire chi sono.

Le statistiche riportano che il 76,6% dei caregiver sono donne e solo il 23,4% sono uomini.

I familiari che si prendono cura di una persona affetta da demenza dedicano circa 6 ore al giorno per l’assistenza diretta (pasti, igiene, farmaci…) e 7 ore alla sorveglianza. Ovviamente più alte sono le ore dedicate al proprio caro, più alto è il grado di stress, e con il peggioramento della malattia è altamente probabile che aumentino entrambe.

La malattia in famiglia coinvolge tutto il nucleo familiare e richiede delle buone capacità di adattamento. Presenta dei costi emotivi alti, può riaprire vecchie ferite e può riacutizzare vecchie dinamiche non risolte. Inoltre il peggioramento del familiare mette di fronte a scelte a volte non condivise da tutti i familiari, e possono emergere nuovi conflitti.

Nel momento in cui si riceve la diagnosi, è importante il coinvolgimento di tutta la famiglia, poiché la patologia richiede una riorganizzazione dei ruoli e dei modelli all’interno della famiglia stessa. Se i familiari non accettano la diagnosi, aumentano le conseguenze negative della malattia.

Le reazioni durante la fase iniziale sono principalmente:

  • NEGAZIONE
  • INCREDULITA’
  • CONFUSIONE
  • TIMORE DI EREDITARIETA’

Le reazioni durante la fase intermedia invece sono più complesse:

  • Difficoltà di delega: sfiducia, senso di onnipotenza, sentimenti di colpa
  • Ansia e iperprotezione
  • Consapevolezza del «non ritorno»: delusione, fallimento, irritazione e nervosismo
  • Rabbia verso se stessi e verso il proprio caro
  • Difficoltà nel riconoscimento reciproco
  • Disorientamento e senso di fragilità

Per concludere vogliamo sintetizzare alcuni consigli che possono essere utili per i “caregiver”:

  • È importante la flessibilità e la capacità di adattamento alla nuova condizione
  • Non bisogna sostituirsi completamente al malato, ma aiutare la persona a fare da sola
  • Cercare di parlare con parole semplici e chiare, lentamente, guardando il malato negli occhi
  • Utilizzare il contatto fisico per trasmettere sensazioni positive di protezione ed affetto
  • Imparare ad interpretare il linguaggio corporeo del malato (gesti, tono della voce, espressione del viso) che spesso sostituisce quello verbale
  • Mantenere la calma ed evitare i conflitti: nei momenti difficili, in cui il paziente manifesta irritabilità o aggressività, non tentate di convincerlo, non sottolineate la sua reazione esagerata, evitate di intraprendere una discussione; ricordate piuttosto che quel comportamento non dipende dalla volontà del malato, ma è uno dei sintomi della sua malattia; rassicuratelo, sorvolate sul momento la questione
  • Di fronte ad allucinazioni o deliri, non è utile cercare di riportare il malato alla realtà, anzi questo potrebbe essere peggiorativo
  • Cercare di trovare una routine quotidiana da rispettare: la stessa sequenza nell’esecuzione delle cose (ad esempio al mattino stabilire che prima si prendono le pastiglie, poi si fa colazione, poi ci si lava, etc.) riduce la possibilità di disorientamento e paura.
  • NON SENTIRSI IN COLPA SE SI DEVONO PRENDERE DELLE DECISIONI DRASTICHE

Infine, qualche indicazione pratica per come sopravvivere:

  1. Concedersi almeno 30 minuti al giorno per rilassarsi: fare ciò che più piace, che sia leggere, praticare giardinaggio, lavorare a maglia, fare un bagno caldo, meditare. Allevierà lo stress e solleverà il morale.
  2. Esprimere i propri sentimenti: manifestare ciò che si sta affrontando è liberatorio. Se vi è difficile uscire di casa, invitate degli amici per un caffè o una cena. È importante interagire con le persone che vi stanno vicino per condividere le preoccupazioni.
  3. Conservare le energie: non stressarsi per ciò che non è sotto il proprio controllo, ma concentrarsi per affrontare il problema nel miglior modo possibile.
  4. Mantenersi in buona salute: mangiando in modo sano, praticando esercizio fisico, dormendo per tutto il tempo necessario e svolgendo regolari check-up e visite mediche.

 

Se senti il bisogno di un supporto psicologico non esitare a contattarmi: aspettare non è mai una buona idea. Compila il form e fissiamo un appuntamento
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