La speranza medicalmente assistita

È difficile parlare di sterilità, darne una definizione e trovarne una causa.

Viene insegnato che la vita è fatta di poche cose davvero essenziali: si cresce, si creano legami importanti, si mette su famiglia, se ci si impegna, si riesce. Non è sempre così, almeno per alcuni non sembra così. All’inizio non ci si pensa tanto, si aspetta, poi non succede niente e allora si comincia a chiedersi perché: sessualità e procreazione iniziano a separarsi.

Si va dal medico che dice di stare tranquilli, iniziano gli esami e già non è facile.

Si immagini un uomo, a cui viene dato un giornale pornografico o un farmaco per garantire l’erezione, e si immagini che gli si imponga la masturbazione e l’eiaculazione nei locali asettici di una struttura medica, mentre fantastica di dover far presto perché c’è qualcun altro che aspetta subito dietro e cerca di non badare alle voci degli infermieri che provengono dai corridoi. Per non parlare di una biopsia testicolare.

Per la donna invece ci sono decine di visite, che danno la sensazione di perdere il controllo del proprio corpo, manipolato come un oggetto, sotto lo sguardo giudicante di chi cerca un problema e non ha riguardo per l’altrui pudore. E poi ci sono gli esami dolorosi, con o senza anestesia, le iniezioni piene di effetti secondari spiacevoli, una sofferenza anticipata e mantenuta da un’attesa lunga due settimane con tutta l’ansia per i risultati, che se negativi, come è frequente, colorano il tono emotivo con il senso di frustrazione e colpa, inadeguatezza ed ingiustizia per una sofferenza immeritata.

Il concepimento dovrebbe essere un processo naturale, fisiologico, “normale”.

Lui si sente impotente, lei diversa dalle altre, entrambi soli perché con chi condividere questo segreto?

La sterilità diventa anche sociale mentre il piacere decide di scioperare quando vengono imposti rapporti mirati e l’incontro intimo diventa meccanico. Il lutto stabile (la non gravidanza) e ricorrente (ad ogni mestruazione), non ha molto spazio di approfondimento, grazie all’immediata proposta di una soluzione terapeutica: la fecondazione artificiale.

La speranza ritorna, a vincere sulla fatalità: è la fase della speranza medicalmente assistita. Sembra che si voglia un figlio più degli altri ma questo rende difficile poter dare voce all’ambivalenza dei sentimenti: tutto viene idealizzato ed enfatizzato, non ci possono essere ombre né ferite. La durezza dell’iter è di conseguenza una sorta di pena da scontare, mentre il figlio da desiderio diventa successo di una cura.

Il tempo passa e ci si accanisce.

È difficile fermarsi, e come si potrebbe a questo punto? Tanti sacrifici per niente non è una soluzione contemplata. Ma è difficile anche trovare uno spazio di parola.

Si va dal dottore proprio per certificare che il problema è solo fisico. Non si è permesso dirsi esausti. Non è permesso un futuro buono senza figli.

Ci si sente dire: “ora che non ci penserete più, vedrete, arriverà!”, una beffa che alimenta ancora la speranza.

Non che le paure si annullino di fronte al successo. Bisogna stare attenti a tutto perché la felicità è troppo grande per non considerarla precaria.

E se questa descrizione può sembrare un po’ apocalittica, è solo per dare per una volta voce ai vissuti di delusione, rabbia, frustrazione che non trovano spazio di parola nella velocità di certe scelte difficili, quello che non ci si autorizza a raccontare mentre si corre dietro ai propri sogni, sogni di controllo su un dono che viene, purtroppo o per fortuna, da un luogo ancora sconosciuto.

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