L‘ingrediente base del suicidio è il “tormento nella psiche”, un dolore mentale insopportabile. Le fonti principali di dolore psicologico hanno origine dai bisogni psicologici vitali frustrati e negati.
Nell’individuo suicida è la frustrazione di questi bisogni ad essere considerata una condizione per la quale il suicidio è visto come il rimedio più adeguato. Il suicidio è un movimento di allontanamento da emozioni intollerabili, dolore insopportabile o angoscia inaccettabile.
Non tutti i suicidi hanno dei problemi psichici conclamati, come la depressione. La decisione di porre termine alla propria vita è un evento multifattoriale, che spesso non segue una logica razionale. Cercare un’unica causa al suicidio, lo ha lasciato la ragazza, ha perso il lavoro…, tranquillizza la società di fronte ad un evento perturbante, ma non spiega assolutamente il perché la persona ha scelto un atto così estremo.
I soggetti suicidi sono caratterizzati dall’ambivalenza tra la vita e la morte: sebbene si apprestino alla morte desiderano ardentemente essere salvati.
Tre miti da sfatare:
– chi vuole suicidarsi non lo dice: 8 persone su 10 che si sono suicidate hanno espresso le proprie intenzioni;
– parlare di suicidio fa pensare alla persona di porre fine alla vita: parlare del pensiero suicida permette alla persona di sentirsi accolta ed accettata nelle proprie difficoltà;
– quando una persona si vuole suicidare nulla può fargli cambiare idea: stare vicino ad una persona che vuole suicidarsi la fa sentire meno sola e rivalutare le proprie scelte.
L’attenzione va posta sulle emozioni negative degli individui suicidari e sulla possibilità di ascoltare il loro dolore e aiutarli. Dovremmo essere empatici e “risuonare” con il dolore mentale del paziente considerando “l’unicità” della sua sofferenza. Se il ruolo del suicidio è quello di porre fine ad un dolore mentale insopportabile, il compito principale per aiutare l’individuo è alleviare questo stato.
Per chiudere: il suicidio è una soluzione definitiva a dei problemi temporanei.