Il rapporto tra le generazioni e il cambiamento d’epoca

La generazione precaria sembra un funambolo costretto a camminare nel vuoto su di un filo, uno che in quel vuoto non ci casca perché ha sviluppato muscoli flessibili e abilità che non sono da tutti e che gli consentono di mantenere un equilibrio.

Nella costruzione dell’identità di ogni individuo è normale avere dei modelli di riferimento, che sono soprattutto i membri della propria famiglia di origine, a partire dai genitori per allargarsi alla cerchia dei vari conoscenti. Avere dei modelli permette all’individuo di avere dei riferimenti stabili per comportarsi adeguatamente in un determinata società.

Massimo Recalcati, che lavora da anni intorno al tema lacaniano dell'”evaporazione del padre“, nel Complesso di Telemaco ha indicato nel figlio di Ulisse l’esempio del giovane che aspetta il ritorno del padre e invoca la sua legge, pronto a raccoglierne l’eredità. Perché, per quanto se ne dica, anche i figli della crisi e del consumismo hanno bisogno di un punto di riferimento, di una legge autorevole a cui appellarsi per diventare adulti.

Nella fase di crescita di ogni individuo i primi modelli di riferimento vengono poi messi in critica, è il periodo dell’adolescenza, per arrivare a strutturare la propria identità.

Lo scontro tra le generazioni è quindi normale e legittimo, è ciò che permette di fare andare avanti ed evolvere la società. Così, per fare uno tra i mille esempi possibili, all’Illuminismo, l’epoca della ragione rischiarante, seguì il Romanticismo con la passione al centro di tutto.

Oggi però la società e totalmente diversa da quella anche solo di qualche anno fa, quindi i riferimenti culturali sono totalmente saltati. Diventa complicato il dialogo intergenerazionale. Come capirsi per un trentenne-quarantenne con i sessantenni che sono vissuti nella sicurezza del posto fisso, dell’ideale da seguire, quando ormai la società è sempre più flessibile, le certezze e le ideologie sono scomparse? Come si può riorientare il cinquantenne licenziato che ha sempre lavorato nella propria vita? Una volta una delle frasi più tipiche era: “Alla tua età io avevo già due figli”. Oggi non si usa più, perché è ormai normale che un quarantenne debba ancora sistemarsi e non riesca a pensare alla costituzione di una propria famiglia.

La crisi economica non dovrebbe ricadere sulle nuove generazioni, ma lo spettro della disoccupazione, quel monito continuo dei genitori “fai le scelte giuste, altrimenti non troverai lavoro” è ormai un peso eccessivo. Con il risultato che spesso i giovani sono poco fiduciosi nelle proprie qualità, pieni di passioni, ma scoraggiati.

Delle giovani generazioni, giovani fino ad un certo punto, perché l’età di questa ormai grossa fascia della popolazione oscilla tra i 28 e i 40 anni, si è detto: bamboccioni, viziati e choosy. Ma loro si vedono come la generazione che è sopravvissuta al naufragio. Almeno prima c’erano i Padri (quelli con la maiuscola), o i loro surrogati (la parrocchia, il partito, il lavoro) e adesso? Oggi perfino l’America non è più un mito di progresso.

Per tutti coloro che sono nati dagli anni ’80 in poi, si sta sempre più definendo una nuova generazione, quella “Flux”, una fascia di persone che sia per età anagrafica che per urgenze organizzative sta sviluppando nuove competenze per affrontare un futuro decisamente incerto.

Per tutti coloro che non hanno le risorse e il coraggio necessario a sopportare i disagi di una vita così complessa, spesso soprattutto le classi economicamente svantaggiate, categoria ormai sempre più numerosa, essendo pauperizzata la classe media della società, si parla di generazione sdraiata.

Con questo schema proviamo a dare qualche chiave di lettura alle attuali forme di protesta che si stanno verificando nel nostro paese, ma anche nel resto del pianeta. Forse siamo in un momento di rivoluzione planetaria, nel senso che dà Rikfin a questo termine: nuovi tipi di energia, nuovi mezzi di comunicazione e nuove idee porteranno ad uno sconvolgimento, in meglio probabilmente, dato che questo tipo di società occidentale non ha possibilità di futuro, ma, di fronte all’incertezza per un futuro ignoto, la paura e l’ansia aumentano e quindi si verificano i fenomeni sociali di contestazione rispetto ai poteri già costituiti che osserviamo.


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